Covid-19

Con FYI a tuo fianco, puoi disporre di soluzioni specifiche ed efficaci per la tutela e la salute e della sicurezza dei tuoi lavoratori e collaboratori, di concerto con le tue finalità produttive.

Una gestione consapevole del rischio, all’interno della quale si esplicano le procedure del Protocollo condiviso anti Covid-19.

Un piano strutturato di servizi per una prevenzione mirata, secondo il principio della massima cautela.

In questa sezione abbiamo inserito le informazioni essenziali per far ripartire IN SICUREZZA la tua attività !

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F.A.Q. – Frequently Asked Questions

La moltiplicazione di siti/blog/interventi su media di vario tipo, con diversi livelli di affidabilità, aumenta il rumore di fondo con messaggi talvolta contrastanti. Orientarsi in quanto professionisti sanitari per avere aggiornamenti sui dati, sui protocolli, sulle pubblicazioni diviene quindi più difficile.

Di conseguenza lo diventa anche identificare le corrette informazioni da dare alle persone assistite (ISS – Corso FAD – marzo 2020). Grande difficoltà per tutti i moltiplicarsi di norme nazionali, regionali ed addirittura locali (ordinanze comunali) che pronunciandosi sulla stessa materia in modo spesso differente ha aumentato la confusione generale.

Sia il Documento tecnico dell’INAIL che il Protocollo condiviso convergono su alcuni aspetti: la scelta dei DPI deve derivare dalla VDR,
il distanziamento è la misura più importante con l’aggiunta di una mascherina quando non si può rispettare la distanza, chi condivide ambienti di lavoro deve usare la mascherina “tout court”.

Non esistono mascherine o DPI in grado di bloccare i virus, il loro compito è quello di intercettare e fermare le particelle liquide cariche di virus che si liberano dalle vie aeree, impedendo, di fatto la trasmissione del contagio. L’unico approccio sensato ed efficace è considerarsi e considerare tutti come potenzialmente contagiosi; quindi il rispetto della distanza interpersonale e l’uso estensivo della mascherina chirurgica o “civile” abbatterebbe la possibilità di trasmissione in maniera quasi definitiva.

Tratto da: Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione – INAIL Aprile 2020 “In considerazione del ruolo cardine del medico competente nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, in particolare attraverso la collaborazione alla valutazione dei rischi ed alla effettuazione della sorveglianza sanitaria, non si può prescindere dal coinvolgimento dello stesso in un contesto del genere, al di là dell’ordinarietà”.

La maggior parte delle conoscenze che abbiamo, e a volte crediamo di avere, sul COVID-19 derivano dagli studi effettuati in passato sugli altri coronavirus responsabili della SARS e della MERS, che hanno una somiglianza notevole con quello attuale. Tutti gli studi effettuati, i primi approcci terapeutici, lo sviluppo dei test e le ricerche sui vaccini si sono basati su questa ipotesi iniziale. Le nostre conoscenze dirette sono solo recentissime: circa 2 mesi per i Paesi occidentali, circa 4 mesi per quelli orientali.
È un arco di tempo TROPPO BREVE per avere risposte certe in tanti ambiti; non fanno eccezione i test sierologici.

Per poter dare quel documento che i mass-media hanno mirabilmente definito la “patente di immunità” che risolverebbe le giuste ansie dei Datori di lavoro e i tanti dubbi dei medici competenti, dovremo prima essere in grado di costruire delle curve nel tempo che possano descrivere quali anticorpi vengono prodotti, quando, in quale quantità; poi, soprattutto, poter correlare un certo tipo di anticorpo e un suo dosaggio con una fase specifica della malattia; infine sapere quanto tempo permane una risposta anticorpale tale da poter pensare che un soggetto sia immune (come ad esempio nel caso dell’epatite B). Maria Infantino et al. Vantaggi, limiti e prospettive dei test sierologici nell’infezione da SARS-CoV-2 (Covid-19). La Rivista Italiana della Medicina di Laboratorio 2020 Apr 07.

Le indicazioni attuali potrebbero essere: come sorveglianza epidemiologica (per capire lo stato anticorpale della popolazione in relazione alle fasce di età, alla mansione, etc); Insieme al tampone per aumentare l’accuratezza diagnostica; come screening per decidere a chi successivamente fare il tampone; In medicina del lavoro, su singoli casi specifici, se ci sono dubbi
(ad esempio, 1. persona clinicamente sospetta, tampone negativo o non effettuato, quando sta meglio vuole rientrare al lavoro; 2. contatto stretto, soggetto paucisintomatico, non fa il tampone, alla fine della quarantena vuole rientrare al lavoro).

Rispetto alle visite preventive, sicuramente le visita periodiche anche se scadute da qualche mese, non dovrebbero avere impatti sostanziali sulla salute della persona, tranne situazioni particolari o lavori ad alto rischio o situazioni intervenute nel frattempo; PURTROPPO E’ UNA DISTINZIONE CAPZIOSA. Potremmo dire che le preventive sono fondamentali mentre le periodiche sono importanti. Si capisce che chi ha scritto il protocollo non ha nessuna idea di come si svolge nella norma la sorveglianza sanitaria, della grande mobilità di persone che si muovono per lo meno in ambito provinciale, dei frequenti assembramenti che genera, dei luoghi dove a volte si deve effettuare.

Purtroppo anche su questo aspetto le Regioni si sono pronunciate spesso in maniera diversa e quando non lo hanno fatto, sono state le singole ASL/ATS/ASP a farlo in maniera difforme sul territorio.

IL NUOVO PROTOCOLLO NON HA FUGATO I DUBBI sulle fragilità, la difficoltà di interfacciarsi con i medici di base, la mancanza di univocità di provvedimenti INPS, a volte con delle disparità addirittura provinciali e problemi rilevanti di privacy. Interessante la proposta contenuta nel Documento tecnico INAIL (e purtroppo non recepita nel Protocollo): “sorveglianza sanitaria eccezionale” che verrebbe effettuata sui lavoratori con età >55 anni o su lavoratori al di sotto di tale età ma che ritengano di rientrare, per condizioni patologiche, in questa condizione anche attraverso una visita a richiesta. In sostanza il lavoratore deve farsi parte attiva, sia perché il medico competente potrebbe non aver registrato in cartella un dato sanitario particolare se non funzionale all’espressione dell’idoneità, men che meno (tranne situazioni particolari) può ricordarselo a memoria; oppure, semplicemente, la condizione di fragilità è subentrata successivamente all’ultima visita effettuata ed il medico competente non ne è a conoscenza.

Interessante novità rispetto al Protocollo 14.3.2020: in teoria potremmo prescrivere sierologici e tamponi, in pratica dobbiamo verificare se si potrà fare (ndr). Sicuramente in alcune zone si, subito, in altre no, in altre ancora si, ma tra qualche tempo.

Altra Interessante novità rispetto al Protocollo 14.3.2020: in pratica è stata introdotta una nuova fattispecie, la visita medica per rientro post COVID-19, ndr. Difficile da realizzare senza una chiara apertura verso la “telemedicina del lavoro”.
Teoricamente, soprattutto nelle zone ad alta endemia, un gran numero di lavoratori che dopo il COVID-19 vorrebbero rientrare al lavoro dovranno attendere gli appuntamenti che potranno dare i medici competenti che non hanno il dono dell’ubiquità e che, nel rispetto dei protocolli anticontagio, non potranno effettuare tante visite al giorno.

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